Roth scatenato by Claudia Roth Pierpont

Roth scatenato by Claudia Roth Pierpont

autore:Claudia Roth Pierpont
La lingua: ita
Format: azw3, mobi, epub
Tags: Literary, Biography & Autobiography
ISBN: 9788858417416
editore: Giulio Einaudi Editore
pubblicato: 2015-01-19T23:00:00+00:00


Per quanto difficile da comprendere in maniera immediata, il punto è che sono esistiti modi piú efficaci per «disinnescare un’inimicizia di secoli». «Ero piú orgoglioso, – dice, – di Easter Parade che della vittoria nella guerra dei Sei giorni, mi dava piú tranquillità White Christmas che il reattore nucleare israeliano». Il che ci riporta ai pericoli concreti. Se gli israeliani fossero mai arrivati a sentirsi costretti a sganciare una bomba atomica, conclude, «quella sarebbe stata la fine del giudaismo, anche se lo stato di Israele fosse sopravvissuto». Perché «moralmente non sopravvivranno mai; e se le cose stanno cosí, perché sopravvivere come ebrei?»

Ma il romanziere viene scambiato per il diasporista non solo a causa della somiglianza fisica, bensí anche per la reputazione dei suoi libri. Per i palestinesi che leggono letteratura americana moderna non c’è infatti differenza tra la notoria ostilità di Philip Roth verso gli ebrei e il suo presunto piano di farli uscire da Israele. Entrambe sono posizioni encomiabili, forse addirittura utili. E cosí, in un affollato mercato di Gerusalemme, il nostro protagonista viene accostato da un palestinese in cerca di reclute per l’Olp (ammesso e non concesso che in realtà non lavori per Israele), il quale si dà il caso essere anche un vecchio amico dei tempi dell’Università di Chicago. Questo palestinese colto, elegante, che ha studiato in America ed è ora arrabbiatissimo risponde al nome (modificato) di George Ziad. Roth, nel senso dell’autore in carne e ossa, mi spiega di avere riadattato quello di un palestinese che lo aveva accompagnato nelle zone arabe della Cisgiordania e a vedere un tribunale militare israeliano a Ramallah (dove Ziad porta il Roth di finzione) per mostrargli una faccia della giustizia israeliana piú sporca di quella resa pubblica con il processo a Demjanjuk. Mi ripete anche che no, Edward Said, famoso professore palestinese della Columbia University di New York, non gli era mai passato per la testa, anche se il collegamento era apparso in piú di una recensione e, a dispetto della meticolosa verifica delle fonti, il «New Yorker» aveva continuato a scrivere George Zaid anziché Ziad.

Al di là delle origini, e della parte per cui lavora, in questo intellettuale palestinese si concentra parecchia della retorica politica e morale del libro. Dopo anni di permanenza a Boston e di disconoscimento di ogni legame con il suo passato, Ziad ha infatti deciso di mollare tutto, compreso l’amato insegnamento in un corso di letteratura, e ha portato moglie e figlio in un polveroso avamposto nella Cisgiordania dove, nel tentativo di riappropriarsi della terra dei padri, è riuscito solo a riappropriarsi dell’ira del padre. La sua quotidianità è adesso scandita da umiliazioni e posti di blocco: vent’anni di occupazione e quaranta di stato ebraico hanno «corroso tutto quanto c’era in lui di moderato», esponendolo completamente alla «grande e invalidante fantasia della vendetta». Per circa quattordici pagine vomita pensieri, rimostranze, ricordi e una furia incontenibile nei riguardi di Israele:

Perché questo stato manca di un’identità morale. Ha rinunciato alla sua identità morale, posto che ne abbia mai avuta una.



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